L.O.F.T. e PROGETTI&TEATRO
presentano il *debutto* di
QUESTA È LA MIA VITA
SABATO 5 MARZO ore 21 e DOMENICA 6 MARZO ore 17
tratto dal libro:
“Gentilissimo sig. dottore questa è la mia vita” di Adalgisa Conti
con Sandra Soncini
musiche originali Patrizia Mattioli
regia Carlo Ferrari
tecnica e luci Erika BorellaIl ricovero coatto in manicomio ad Arezzo era avvenuto perchè “…affetta da delirio di persecuzione con tendenza al suicidio.”
Adalgisa Conti aveva allora 27 anni, si era sposata tre anni prima ed era considerata intelligente ed estrosa. Il ricovero coatto in manicomio ad Arezzo era avvenuto perchè “…affetta da delirio di persecuzione con tendenza al suicidio”.Nella sua cartella clinica, ci sono, per il periodo che va dal ricovero al marzo 1914, diverse sue lettere che rivelano, più di qualsiasi altro documento, quale delitto sia stato istituzionalmente e culturalmente consumato sulla sua mente e sul corpo di questa donna, dotata di qualità non comuni. “Questa è la mia vita” vuole dare testimonianza del suo vissuto di ragazza, donna e moglie, restituendole quella dignità e quell’amore che avrebbe meritato.Lo spettacolo, segue il percorso autobiografico del vissuto di Adalgisa Conti, attraverso le lettere recuperate all’interno della sua cartella clinica. Era stata definita una scrittura serrata, minuta, sicura, quella della Conti. Quattro mesi intensi di scrittura, i mesi iniziali della sua costrizione in manicomio. Era il 1914, aveva 27 anni, tre anni prima si era sposata con Probo Palombini, poi il ricovero coatto in manicomio perché “affetta da delirio di persecuzione con tendenza al suicidio”. Ci siamo avvicinati a questi scritti, con profondo rispetto e molta cura. Abbiamo conosciuto la vita di Adalgisa e ci ha appassionato. Il lavoro teatrale vuole ricordare queste sue testimonianze, questi suoi momenti di vita. Un prima e un dopo. Un prima da libera e un dopo da reclusa. E proprio i suoi scritti, le sue lettere, rivelano più di qualsiasi altro documento, quale delitto sia stato istituzionalmente e culturalmente consumato sulla mente e sul corpo di questa donna. Il dopo è diventata la vita in manicomio, “la degradazione del suo corpo, divenuto strumento di una esistenza puramente vegetativa e oggetto offerto alla manipolazione e allo sfruttamento che l’ istituzione ne farà, impegnandolo in attività lavorative servili e degradanti.” La storia di Adalgisa quindi, ha bisogno di grande affetto, vicinanza, corpo e voce. Il teatro attraverso i suoi scritti, si trasforma in strumento di denuncia e di lotta contro le istituzioni segreganti e contro la violenza del sociale sulle donne.