BDC 70
Silvia Camporesi
Bastione Naturale, in prospettiva ariosa
a cura di Cesare Pomarici
Premio La Nuova Scelta Italiana, edizione 2022
Mostra dal 8 ottobre al 4 novembre 2022
Orari: venerdì, sabato e domenica dalle 16 alle 20
Presso lo spazio di Borgo delle Colonne 28, Parma
Ingresso gratuito
Inaugurazione: sabato 8 ottobre, dalle ore 18.30
Con la presenza dell’artista Silvia Camporesi
Con il contributo video di Giovanni Lindo Ferretti
A seguire:
- serata musicale a cura di Le Cannibale
- bar di Santeria Milano
Sabato 8 ottobre inauguriamo la prima mostra di fotografie dei 3 artisti vincitori del premio La Nuova Scelta Italiana, che BDC – Bonanni Del Rio Catalog ha istituito per individuare ogni anno tre fotografi affermati che ritiene possano essere o diventare gli eredi dei grandi Maestri della fotografia italiana. Il premio, che si avvale di una prestigiosa advisory board di esperti, è stato quest’anno assegnato a Silvia Camporesi, Luca Gilli e Francesco Jodice.
Bastione naturale, in prospettiva ariosa è un dialogo fotografico tra le immagini di Silvia Camporesi e le suggestioni musicali della Cronaca montana di Giovanni Lindo Ferretti. Un itinerario visivo che abbina fotografia e canzone, nel segno di una ricerca condivisa: quella del sacro naturale.
Le parole di presentazione di Silvia, l’8 Ottobre a BDC, saranno accompagnate dalla proiezione in anteprima di una video-conversazione avvenuta tra l’artista, il curatore, e Giovanni Lindo Ferretti, sulle montagne di Cerreto Alpi. Un confronto sui temi della mostra, sul rapporto tra fotografia e scrittura, e sulla dimensione sacrale di luoghi naturali.
Dalle 21 in poi, serata in musica a cura di Le Cannibale con live music di …
Bastione Naturale, in Prospettiva Ariosa – Testo Critico di Cesare Pomarici
Ispirato dalle suggestioni musicali di Cronaca montana, celebre brano musicale dei PGR, questo nuovo itinerario visivo di Silvia Camporesi comincia come un esodo, una processione, una fuga dal mondo nel Mondo. Già dall’aura infernale delle prime tre immagini, si può intuire come il percorso espositivo nasca da una necessità di rigenerazione, spirituale e corporea, dal bisogno di mettersi in marcia verso una meta salvifica […]. Davanti a questi scenari, a queste forme naturali che lo sguardo della fotografa coglie antropologicamente come indizi apocalittici – l’antro dentato di Borgio Verezzi, il gas mefitico delle Biancane, il lago rosso sangue di Tovel, – ognuno ha il tempo di individuare la postura che meglio definisce la propria condizione emotiva sul limitare del percorso. E nel segno di quest’ultima, muovere i primi, coraggiosi, passi del cammino […].
L’itinerario visibile, l’iter che prosegue oltre il lago, la caverna, e la nebbia delle biancane, porta nella direzione di una salita, di un’elevazione del corpo e della psiche, non priva di ulteriori ostruzioni e strettoie di roccia. È al prezzo di questo dispendio, il dispendio di sostenere un necessario allontanamento, che Silvia Camporesi apre il suo linguaggio fotografico alla ricezione del sacro circostante. […]. Fotografare uno spazio sacro significa – come ha scritto ancora Giovanni Lindo Ferretti (in PGR, Cronaca montana) – strapparlo al «tempo che corre», al tempo che «s’ammassa, s’appiatta, livella» e portarlo in un tempo rituale, nel presente immobile del mito. È questa, dunque, l’esperienza contemplativa, la giuntura visiva tra tempo e spazio sacro, che inaugura l’ultimo tratto, quello decisivo, del nostro itinerario dello sguardo.
La fiamma, la balena, i due megaliti, e il bialbero: dopo gli indizi apocalittici, e il «campo aspro, scosceso» (Calanchi, Bosco del Sasseto, Vie Cave), ecco che finalmente si affermano i simboli della rinascita, le forme naturali e solenni di una sacralità ritrovata. A partire dal fuoco perenne del Monte Busca, la luce del qui e ora, il taglio minimo della presenza che basta a sé stessa («bisognerebbe, bisognerebbe niente»), per avvicinarsi alla Balena Bianca dei Bagni di San Filippo, che diviene, nella medesima ottica, un simulacro marino-terreste, un animale addormentato dentro la roccia, l’alter-ego di Gaia […]. Così, si giunge infine a costeggiare i Megaliti dell’Argimusco, guardiani silenziosi dell’ordine cosmico, monaci devoti a millenaria e reciproca preghiera, o – ancora sulla scorta di Cronaca montana – «bastioni naturali in prospettiva ariosa» […].
Seguendo la strofa finale del testo di Ferretti, l’itinerario termina davanti alla icona del Bialbero di Casorzo: vera e propria sintesi vegetale di questo percorso. Un gelso sulla cui chioma cresce e si eleva un ciliegio, un ciliegio che dalla sommità di un gelso dirama le sue radici fino a terra, attraversandone la cavità del tronco. Solo nell’involucro lasciato vuoto dal gelso, dentro e poi oltre il fodero della corteccia, il ciliegio può trovare la sua strada verso l’altezza, la sua libertà dalla costrizione necessaria di chi lo ha preceduto. È questo l’ultimo potentissimo archetipo che Silvia Camporesi fotografa come santuario celeste, centro di raccordo tra terra e cielo, tra morte e vita, e che i versi dei PGR individuano come il ritmo di avvicendamento – «languido» e indistricabile – di tutte le esistenze naturali del nostro Pianeta, come metrica ed epica del divenire, come storia sacra. «Generazione su generazione».
Silvia Camporesi
L’artista Silvia Camporesi (Forlì 1973) utilizza i linguaggi della fotografia e del video per rendere visibili racconti che nascono altrove. I suoi progetti, infatti, danno corpo al suo pensiero. Laureata in filosofia, curiosa di tutto, e con una vasta cultura interdisciplinare, Silvia Camporesi imbastisce il canovaccio della sua opera attraverso un’attività di ricerca meticolosa.
Il valore del suo accurato investigare si avverte dietro – e dentro – ogni sua immagine. Perché ogni scatto ha un senso ben preciso e appartiene a un progetto ben delineato. Prima l’idea, poi il pensiero, poi la ricerca, quindi la strutturazione della serie e infine i viaggi verso i luoghi che possono rappresentare al meglio il concetto sviluppato nei diversi stadi del processo creativo.
I lavori, forse apparentemente eclettici nel contenuto e nella forma, si reggono su un pilastro intellettuale ben solido, che Silvia Camporesi costruisce con disciplina, sensibilità e immaginazione. Le sue opere navigano perciò in campi diversi senza mai perdere la rotta. Del 2013 è l’esteso progetto Atlas Italiae 2013-2015 in cui le regioni italiane vengono scandagliate alla ricerca di paesi abbandonati ma ancora intrisi di memoria: “Non mi interessano le nude strutture ma qualcosa che, cristallizzato nel tempo, mi parli di quanto è stato in passato.” Mistero e meraviglia caratterizzano la serie Mirabilia, iniziata nel 2017 e ancora in corso. Attraverso lo studio approfondito di tutti i canali informativi, ufficiali e non, la Camporesi scopre – per lei stessa e per tutti noi – luoghi speciali, di grande fascino e intrigante peculiarità, come la biblioteca Malatestiana di Cesena o il Teatro Anatomico a Padova. Nel 2020 si completa Forzare il paesaggio, un’analisi di tre località italiane ‘ai confini della realtà’. L’isola delle Rose piattaforma nelle acque internazionali dell’Adriatico, autodichiaratasi Stato; Lo Specchio di Viganella che riflette la luce per i duecento abitanti di un borgo raggiunto dal sole appena 83 giorni all’anno; Fabbriche di Caraggine, la città sommersa dalle acque del lago artificiale di Vagli. Siti simbolici, con un forte potenziale suggestivo, che svelano l’arcano, sempre inseguito e sviscerato nelle fotografie di Silvia Camporesi. Sempre del 2020 è il lavoro Cose che non fanno rumore, una narrazione che attraversa il paesaggio silente nel tempo della pandemia. Una prospettiva soggettiva sulla vita di tutti i giorni alterata dall’assenza.
Lo sguardo dell’artista, oggi più che mai focalizzato sul paesaggio, si è posato nel corso della sua carriera su soggetti eterogenei – Indizi Terrestri (2006), La Terza Venezia (2011), Journey to Armenia (2014), Dimora Teatro (2020), Domestica (2020) tra gli altri – mantenendo però, anzi perciò, fede alla sua dichiarazione d’intenti: “Per me la fotografia è uno strumento per mettere sotto vuoto le idee.”
BDC – Bonanni Del Rio Catalog
È il progetto di Lucia Bonanni e Mauro Del Rio dedicato all’arte contemporanea.
Inaugurato ad Artefiera a Bologna nel Gennaio 2016, riunisce l’insieme delle attività e delle produzioni organizzate dalla coppia relative all’arte contemporanea: una serie in divenire di eventi, oggetti, luoghi ognuno identificato da un numero progressivo.
Il quartiere generale di BDC è BDC28, chiesa sconsacrata nel centro storico di Parma, a due passi dall’affascinante e suggestiva Piazza Duomo, dove si sviluppa la più lunga ed elegante via porticata della città.
La struttura ha avuto per centinaia di anni un ruolo centrale nella vita della città di Parma e dei suoi cittadini, subendo stravolgimenti e trasformazioni in seguito alle diverse realtà storico-politiche susseguitesi. Questi elementi di fascino sono stati determinanti nella ricerca di una promozione per una nuova fruizione di questa spettacolare location, che rappresenta un inevitabile legame tra antichità e modernità. Qui nel Seicento una confraternita legata alla Chiesa di San Benedetto fondò l’oratorio di Santa Maria della Pace. Agli inizi del Novecento l’istituto religioso fu sconsacrato, quindi riconvertito a officina meccanica, e in seguito a garage, finché nel 2015 è stato recuperato e riaperto alla città di Parma con il progetto BDC.
Oggi è un centro dedicato all’arte contemporanea: fotografia, disegno, musica live, performance, incontri.
Per informazioni sullo Spazio BDC28
Borgo delle Colonne, 28 – 43121 – Parma
E-mail: info@bonannidelriocatalog.com
Siti web: bonannidelriocatalog.com e lanuovasceltaitaliana.com
Facebook: https://www.facebook.com/BonanniDelRioCatalog/
IG: @bdcatalog
Twitter: @bdcatalog